Il Ministero del Lavoro, Direzione Generale del Terzo Settore, in risposta ad un quesito specifico, in data 22 ottobre 2020, ha affrontato il delicato tema della forma per la modifica degli statuti delle associazioni non riconosciute.

Nello specifico il quesito riguardava, oltre ad altre problematiche sulle modifiche statutarie del Terzo Settore, la necessità o meno dell’atto pubblico (con la presenza quindi del notaio) per la modifica di uno statuto di associazione non riconosciuta, redatto in origine con atto pubblico. Sino ad ora la tesi prevalente è sempre stata quella che se uno statuto “nasce” con atto pubblico, anche le successive modifiche avrebbero dovuto seguire questa forma, per il ragionamento che un atto di forma superiore non possa essere modificato da un atto di forma inferiore.

Il Ministero del Lavoro giunge invece, attraverso una puntuale e condivisibile analisi, ad opposta conclusione.

Infatti partendo da quanto prevede il codice civile per la forma degli atti, e più precisamente dall’art 14, che prevede la forma dell’atto pubblico per le associazioni riconosciute, e dall’art. 36 che recita “l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche sono regolate dagli accordi degli associati” senza prevedere quindi particolari forme, va a ricordare che leggi speciali possono recare disposizioni che impongono l’atto pubblico ( vedi ad esempio per il Terzo Settore le associazioni che assumono la forma di impresa sociale). Proseguendo nell’analisi arriva ad affermare che: “Al di fuori di tali casi (leggi speciali), non si ritiene che la presenza in un ente di tipo associativo di un atto costitutivo redatto con atto pubblico in assenza di una specifica prescrizione normativa, possa inficiare la validità di successive delibere modificative risultanti da una semplice scrittura privata: troveranno infatti applicazione i principi civilistici di libertà della forma degli atti (ricavabile dal combinato disposto degli articoli 1325 e 1350 del Codice civile e valevole all’infuori dei casi in cui sia espressamente richiesta dalla legge una particolare forma) e di conservazione degli stessi.”

Il Ministero conclude poi osservando correttamente che se “gli accordi fra gli associati”, di cui al già citato art. 36 del c.c., inseriti nell’atto costitutivo e/o statuto, dovessero prevedere la forma dell’atto pubblico per le modifiche statutarie, questa sarebbe evidentemente ineludibile.

Quest’autorevole interpretazione contribuisce sicuramente a mettere chiarezza su un argomento d’attualità, specie per il Terzo Settore, e a ridurre anche i costi delle modifiche statutarie; a tal proposito voglio ricordare che le modifiche statutarie volte all’adeguamento alle clausole obbligatorie, ai fini del Dlgs 117/2017, sono esenti dall’imposta di Registro e dai bolli; per le asd iscritte al registro Coni, vige l’esenzione dall’imposta di bollo ( si paga invece l’imposta di registro in misura fissa di € 200), ai sensi di quanto previsto dal comma 646 della legge 30 dicembre 2018, n. 145, che ha modificato l’art. 27 bis della tabella di cui all’allegato B annesso al decreto del presidente della repubblica 26/10/1972 n. 642.

Pubblicato il: 24 Ottobre 2020 / Categorie: Area Gestione Associativa, News / Tags: /