Come ormai noto a tutti, il decreto 231/2001 ha introdotto nell’ordinamento italiano la responsabilità amministrativa degli enti in relazione ai reati, commessi nel loro interessi, da specifici soggetti che rivestono ruoli di amministrazione, direzione e controllo, ma anche che si trovino in rapporti di dipendenza dagli stessi, purché in conseguenza dell’illecito commesso si produca per l’Ente un vantaggio diretto o indiretto.

Sotto questo profilo, e premesso che quanto ai soggetti destinatari della norma non pare potersi non includere gli enti del terzo settore, in virtù delle esclusioni previste in via tassativa dalla norma, occorre che gli stessi si dotino, al fine di evitare le previste responsabilità e le conseguenti sanzioni, degli strumenti previsti nella normativa al fine della prevenzione dei reati.

Al proposito, non pare ultroneo citare la delibera ANAC numero 32 del 20 gennaio 2016 con la quale l’autorità nazionale anticorruzione specificamente prevedeva che, in relazione agli enti del terzo settore affidatari della gestione dei servizi sociali, la necessità di dotarsi di efficaci strumenti ai sensi del decreto legislativo 231 del 2001, anche in funzione di certificazione del possesso dei requisiti della cosiddetta “moralità professionale”.

In particolare, ciò che viene richiesto riguarda l’implementazione di idonee procedure di formazione ed attuazione delle decisioni dell’ente in tutte le attività valutate come “a rischio di compimento di reati”; l’adozione di gestioni economiche idonee ad impedire la commissione di reati; l’attivazione di un apposito organismo di vigilanza e di un sistema di trasmissione dell’informazione lo stesso; l’implementazione di misure a tutela dei dipendenti che denunciano illeciti; l’adozione di un apposito codice etico e l’introduzione di specifiche sanzioni per inosservanza dei modelli adottati.

Avvocato Daniele Mazzoleni

Pubblicato il: 29 Giugno 2023 / Categorie: Area Legale /